Le B Corp sono imprese che, convinte che la propria finalità non si esaurisca nel perseguimento del profitto, lavorano per massimizzare il proprio impatto positivo verso i dipendenti, le comunità in cui operano e l'ambiente, usando il business come forza rigeneratrice per la società e per il benessere del pianeta.
Diventare una B Corp dunque ha significato, dal mio punto di vista, tradurre in una certificazione formale e riconoscibile quello che da sempre per me è il senso del “fare impresa”: portare Arte e Poesia nella produzione industriale, soddisfacendo i bisogni culturali ed estetici del pubblico; operare in modo responsabile e trasparente nella gestione delle persone, valorizzando il loro lavoro creando opportunità di sviluppo dell’identità professionale; perseguire un profitto equo e sostenibile, creando ricchezza anche per il contesto: tre obiettivi strategici che si rafforzano l’un l’altro, creando un circolo virtuoso in cui si giocano allo stesso tempo il successo del business e il bene della comunità.

La certificazione è stata ottenuta dopo aver concluso positivamente un complesso e articolato processo di valutazione d’impatto (B Impact Assessment), nato per verificare che l’attività dell’azienda sia diretta ad ottenere un effetto positivo sulla comunità, non solo in termini economici ma anche di impatto sociale e ambientale. La valutazione prende in considerazione le pratiche, le iniziative e i risultati ottenuti in cinque aree tematiche: governance, relazione coi dipendenti, relazione coi clienti, ruolo dell’azienda nella comunità, sostenibilità ambientale di processi e prodotti. In ognuna di queste aree Alessi ha ottenuto una valutazione più alta della media delle aziende che si sottopongono al percorso di valutazione, 55.000 (di cui solo 2178 in 50 paesi e 130 industrie hanno finora ottenuto la certificazione).

Una cosa che mi rende particolarmente orgoglioso è che, per raggiungere questo risultato, non è stato necessario attuare alcun cambiamento nei processi: è bastato raccontare quello che già eravamo, quello che facevamo. Non solo in termini di attività straordinarie (che pure facciamo e ci piace fare), ma proprio attraverso la nostra attività d’impresa e il modo in cui essa viene svolta.

Non solo avere un nostro museo, che rende accessibile il patrimonio culturale costruito in quasi 100 anni di lavoro, ma il fatto in sè che i nostri prodotti sono presenti nelle esposizioni permanenti di oltre 50 musei d’arte contemporanea, il che certifica che portiamo nelle case delle persone oltre 350.000 opere d’arte ogni anno.

Non tanto il fatto di fare beneficenza, per un importo pari al 2% dell’utile annuo, quanto la scelta di ripartire il valore economico prodotto in modo equo e responsabile, tra tutti coloro che contribuiscono a crearlo (a partire dai dipendenti, ai quali va circa il 10% dell’ebit in termini di premio di risultato e partecipazione al risultato aziendale).

Non solo i progetti speciali per i dipendenti e le loro famiglie, che pure esistono e qualificano la relazione con loro, ma il fatto in sé di lottare per garantire oggi il 4,4% dei posti di lavoro dell’industria in una Provincia che ha subito drammaticamente il contraccolpo della crisi negli ultimi 20 anni.

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