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Giovanni Tamburi
Parliamo con Giovanni Tamburi, Tamburi Investment Partners
FARE SISTEMA IN ITALIA. IL RUOLO DELLA FINANZA E IL FUTURO DELLE IMPRESE SECONDO GIOVANNI TAMBURI
Questa intervista è stata fatta a valle dell’incontro di scambio di esperienze tra capi azienda organizzato da ISVI il 24 settembre 2024 in Sala Consiglio dell’Università Bocconi dal titolo “Fare sistema in Italia”, che è anche il titolo dell’ultimo libro di Giovanni Tamburi, Presidente e AD di Tamburi Investment Partners. Siamo partiti proprio da alcune valutazioni sul ruolo della finanza per affrontare il tema del futuro delle imprese.
Nel suo libro parla del “potere enorme della finanza” come di un problema. Può spiegarci meglio cosa intende?
Negli ultimi anni la finanza ha acquisito un potere sproporzionato, e ciò è diventato un problema. La finanza deve essere uno strumento di supporto all’impresa, ma oggi ha assunto un ruolo troppo centrale. Uno dei miei auspici, come esprimo anche nel libro, è quello di vedere un ridimensionamento di questo potere. È l’impresa che muove il mondo, non la finanza. Sono gli imprenditori che creano il valore aggiunto che fa funzionare l’economia.
Quindi la finanza ha perso il suo ruolo originario? È diventata una sorta di “grande burattinaio”?
Esattamente. La finanza doveva essere un servizio, ma si è trasformata in qualcosa di troppo dominante. Deve essere riportata alla sua funzione originaria, ridimensionata. Fortunatamente, le banche centrali di tutto il mondo sembrano essersene rese conto, dopo aver commesso l’errore di mantenere i tassi di interesse troppo bassi per troppo tempo. Il denaro è una merce e, come tale, deve avere un prezzo.
A proposito di questo, cosa pensa delle misure economiche adottate durante e dopo la pandemia?
Durante la pandemia, l’intervento immediato è stato corretto, ma il problema è venuto dopo. Sono stati distribuiti trilioni di dollari senza una logica: 7 trilioni negli Stati Uniti, 800 miliardi in Europa. Questo fenomeno ha gonfiato i mercati finanziari, soprattutto in America, dove le persone investono in borsa quasi a occhi chiusi, seguendo l’andamento di Wall Street come unica bussola.
E cosa ne pensa della crescente polarizzazione delle ricchezze?
È un problema serio. Pochi guadagnano troppo, mentre la maggior parte continua a guadagnare poco. Questo squilibrio sta portando a situazioni paradossali. Oggi, una quantità enorme di liquidità si riversa sui mercati, talvolta in modo irrazionale. Si comprano azioni a prezzi esorbitanti, ma la vera ricchezza rimane concentrata nelle mani di pochi.
Nel suo libro ha menzionato il private equity come uno degli eccessi del sistema. Ci può spiegare meglio?
Negli ultimi vent’anni il private equity in generale ha portato benefici in termini di occupazione e sviluppo, ma ha anche creato danni attraverso l’eccessivo indebitamento da parte di molti fondi. Ora, con i tassi di interesse che probabilmente scenderanno solo gradualmente, questo nodo verrà al pettine molto presto. Questo potrebbe creare opportunità per le imprese solide che vogliono investire in modo più razionale, senza la competizione di fondi che, pur di far vedere che impiegano soldi, hanno a volte offerto cifre esorbitanti.
Quindi si prospetta una stagione favorevole per le imprese?
Credo che già a partire da questi ultimi mesi del 2024 potremo vedere una stagione positiva per le imprese solide e coraggiose. Gli imprenditori potranno fare acquisizioni senza la concorrenza di quei fondi, che, facendo molto ricorso al debito, spesso offrono più di quanto sia sensato. Questo ridarà centralità alle imprese industriali e commerciali che potranno tornare a essere protagoniste del mercato.
Nel suo libro parla di una “crescita fasulla”. Può approfondire questo concetto?
La “crescita fasulla” è la crescita disordinata che in certi casi è anche illusoria. Vediamo aziende troppo indebitate che tagliano i costi in modo sbagliato, invece di investire. In questo momento, il motore dell’economia mondiale è l’Asia, non l’Occidente. Lì c’è una domanda crescente di consumi e investimenti, mentre noi tendiamo a tagliare, anziché investire di più.
A suo avviso, cosa dovrebbero fare le imprese in questo contesto?
Oggi le imprese dovrebbero aumentare gli investimenti, non ridurli. E, inoltre, non solo non dovrebbero mai tagliare il personale in modo drastico, ma anzi aumentare stipendi e salari per fidelizzare i dipendenti. Anche perché molte persone sono meno disposte a lavorare a lungo, ma desiderose di guadagnare di più, per cui tagliare i costi e tantomeno il personale non è la soluzione.
Come valuta l’atteggiamento delle banche in questo scenario?
Le banche stanno guadagnando molto, distribuiscono dividendi e fanno buy-back, ma non erogano prestiti. Questo, unito alla mancanza di nuove quotazioni in borsa e al rallentamento degli investimenti del private equity, crea un vuoto di liquidità per le imprese. Credo, però, che presto riprenderanno le nuove quotazioni in borsa, perché è il modo più sano e logico per finanziare un’impresa. Mi auguro che questo scenario si realizzi presto, perché credo che sarebbe positivo per le nostre imprese e per l’economia in generale.